Celebrare con arte – Il coro celebra con arte
Il servizio che il coro rende nella liturgia è prezioso e,
al tempo stesso, delicato. Infatti, richiede un grande equilibrio per non
cadere negli eccessi opposti che lo rendono:
- da un lato un protagonista esagerato che va ben oltre il suo compito non rispettando la natura della liturgia;
- da un altro lato un elemento quasi insignificante che rimane al di sotto delle sue potenzialità ministeriali e/o musicali.
“Il coro celebra con arte”, poiché ci riferiamo a un coro
liturgico, allora il termine “arte” è da precisare meglio. Non basta, infatti,
il criterio del bello, della proprietà estetica che l’opera ritenuta artistica
possiede, poiché la destinazione liturgica richiede altre qualità. Nel caso
specifico del servizio di un coro per la liturgia cristiana è necessario
perseguire i seguenti obiettivi:
1.
la pertinenza liturgica dei canti che si
eseguono;
2.
la qualità dei canti, sia testuale che musicale;
3.
la qualità dell’esecuzione.
Il coro celebra con arte quando è anzitutto consapevole che
queste tre condizioni sono importanti e necessarie, poi quando si pone
concretamente in cammino, cioè in un percorso di formazione, per attuarle
sempre meglio.
Con franchezza non ci nascondiamo che talvolta queste
attenzioni non sono prese nella giusta considerazione e ci si accontenta di una
solennità equivocamente scambiata con la sontuosità esecutiva. Il concetto di “solennità”
in riferimento al servizio musicale nella liturgia è indicato con chiarezza
dall’istruzione Musicam Sacram del 1967: “Si
tenga presente che la vera solennità di un’azione liturgica dipende non tanto
dalla forma più ricca del canto e dall’apparato più fastoso delle cerimonie,
quanto piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione, che tiene conto
dell’integrità liturgica, dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo
la loro natura. La forma più ricca del canto e l’apparato più fastoso delle
cerimonie sono sì qualche volta desiderabili, quando cioè vi sia la possibilità
di fare ciò nel modo dovuto; sarebbero tuttavia contrari alla vera solennità
dell’azione liturgica se portassero ad omettere qualche elemento, a mutarla o a
compierla in modo indebito” (n.11).
Non basta quindi “La forma più ricca del canto e l’apparato
più fastoso delle cerimonie” per ottenere la vera solennità; è indispensabile
che ogni elemento musicale e canoro rispetti “l’integrità dell’azione liturgica”
e la natura del rito stesso.
Ecco alcuni esempi che rendono ragione di interventi del
coro più o meno “solenni”, secondo l’indicazione appena indicata:
- il Gloria, essendo un inno, non potrà essere che cantato, poiché un inno recitato è una contraddizione in termini ( si pensi a quanto sarebbe grottesco recitare l’inno di Mameli). Il canto del Gloria rispetta allora la natura del rito liturgico, non altrettanto la sua recitazione.
- L’Alleluia è un’acclamazione corale di tutto il popolo e quindi deve prevedere che almeno una parte possa essere eseguita dall'assemblea un Alleluia riservato al solo coro sarebbe davvero poco “solenne”.
- L’Agnello di Dio è la litania che accompagna il gesto della frazione del pane; è una sequenza rituale importante perché prima della comunione, integra due importanti aspetti dell’Eucarestia: la comunione nell’unico pane spezzato e la presenza di Cristo, Agnello del sacrificio. Quando l’Agnello di Dio non è cantato o, peggio ancora, spodestato dall’indebito canto per il segno di pace (che non è contemplato nel rito della Messa e quindi inserito indebitamente), allora non si rispettano l’integrità e la natura del rito liturgico e non vi è vera “solennità”.
Questi esempi mostrano come la precisazione dell’istruzione
Musicam Sacram sia quanto mai opportuna. La presenza del coro nelle
celebrazioni contribuisce a far vivere la bellezza che caratterizza la liturgia
cristiana; del resto i fedeli gradiscono sentire il coro con l’organo e gli
altri strumenti o anche partecipare al suo canto per entrare con fede nel clima
della festa. Per questo non solo non è improprio cercare la solennità nel
canto, anzi ciò è richiesto dalla stessa liturgia, purché si ponga al suo
servizio e la valorizzi nel significato che esprime e nei riti che la
costituiscono.
Allora “il coro celebra con arte” quando è formato per “celebrare
con arte”. Che un coro abbia bisogno di formazione è tanto evidente che non
richiede di essere ripresentato: il servizio musicale non si può improvvisare e,
infatti, non esiste coro che non si incontri anche più volte alla settimana per
le prove. Ma di quale formazione ha bisogno?
La formazione di un coro si sviluppa su diversi ambiti: spirituale,
liturgico, musicale. La sfera musicale è posta per ultima non perché sia la
meno importante, ma perché non si può ritenere che le altre due siano
secondarie e, quindi, da trascurare. Poiché un coro liturgico è costituito da
cristiani, il primo ambito di formazione riguarda la fede dei coristi. La
preparazione liturgica richiede di conoscere le celebrazioni cristiane e le
modalità del servizio del canto. L’ambito musicale, infine, è quello più
propriamente tecnico che riguarda la vocalità e la pratica del cantare insieme.
La formazione è quindi un tema cruciale.
Da “La vita in Cristo e nella Chiesa”, Dicembre 2012
Celebrare con arte –Il Silenzio: azione e linguaggio
La lliturgia dunque è un dialogo; questo dialogo parte da Dio: Egli fa qualche cosa per il popolo, per l’uomo!
La prima “liturgia” per l’uomo è che Dio l’ha creato e benedetto ed ha creato per lui tutto ciò che lo circonda: Dio ha detto bene delle cose e dell’uomo e tutto esiste!
Nel silenzio primordiale di tutti e all’interno del Mistero di Dio, è risuonata una Parola: essa è il Figlio e per Lui e in vista di Lui sono state fatte tutte le cose, il mondo e anche l’uomo già pensato in Cristo prima della creazione del mondo, dice San Paolo.
Il grembo, per così dire, da cui tutto, è il grande silenzio! Il silenzio di Dio in cui risuona la Parola, anzi, le dieci parole: sia la luce, il sole e la luna, i pesci del mare e gli uccelli del cielo, le piante, gli animali ed infine l’immagine di Dio in cui è il suo soffio: l’uomo nella versione maschile e femminile, insieme.
Nella Bibbia, il silenzio è rotto da Dio stesso! Egli poi torna ed è protagonista tante altre volte: nel silenzio del deserto parla a Mosè dal rovet; nella notte dell’Esodo, quando la notte era a metà del suo corso e il silenzio avvolgeva ogni cosa, l’Onnipotente Parola di Dio si lanciò sulla terra d’Egitto per la liberazione del popolo di Israele; una voce sottile nel silenzio, nel primo libro dei Re, fa sentire al profeta Elia la presenza di Dio; il profeta Sofonia invita: “Fate silenzio, alla presenza del Signore”.
Il silenzio avvolge la casa di Maria di Nazaret e la Notte di Betlemme. Molte volte il Maestro, Gesù, si ritira in luoghi solitari nel silenzio della notte.
Lassù, nella liturgia del cielo, all’apertura del settimo sigillo, cioè dell’ultimo senso delle cose, si fa silenzio per circa mezz’ora.
Nella Chiesa, gli asceti e i monaci fuggono il frastuono per ritirarsi nei deserti o nelle foreste, tra le montagne, nel silenzio.
Quando le parole non bastano più, rimane solo il silenzio per comunicare.
Abbiamo fatto questa sorta di excursus biblico sulla preziosità del silenzio perché ci pare argomento su cui fare un urgente richiamo. Vorremmo infatti trovare il silenzio nelle nostre chiese parrocchiali ma non solo, prima e dopo la preghiera o la celebrazione della messa. Nelle sacrestie, un tempo vi era un cartello con scritto Silentium!
Si deve fare silenzio in sacrestia per prepararsi a celebrare ma anche perché adiacente alla chiesa e si disturba; c’è infatti chi arriva un poco prima per pregare ed è giusto che trovi silenzio.
Appena termonata la messa c’è chi vorrebbe continuare la preghiera e non si deve disturbare. Ma soprattutto il silenzio è segno di rispetto della presenza del Signore. Ogni cosa si può fare e dire fuori, sul sagrato, che è luogo adatto all’accoglienza, al saluto e per aggregare.
Vorremmo davvero che le nostre chiese fossero avvolte nel silenzio come invito alla preghiera all’ascolto, allo stare alla presenza di Dio. Il silenzio è un’azione liturgica, è una componenete importante del rito, uno dei linguaggi più preziosi ed efficaci.
Nella liturgia ci sono spazi ddi silenzio, richiesti e stabiliti, che rendono l’azione bella e sublime, uno spartiro musicale, un’esperienza mistica.
Al mattino, per le lodi, nelle comunità religiose, bisognerebbe venire dal grande silenzio della notte e spezzarlo solo con l’invocazione: “O Dio, vieni a salvarmi”, senza tante parole prima che nono sono mai al pari di quetse. La preghiera nasce dal silenzio come la musica; tutti conosciamo, nei concerti della grande musica, quel silenzio che quasi si può toccare che è un misto di attesa in cui si trattiene persino il respiro come quando sta per accadere qualche cosa, immediatamente prima che il direttore sul podio dia il via all’orchestra, Esso è rotto dall’epiclesi per la preghiera.
Nella messa c’è il silenzio prescritto como dopo l’invito “Pregiamo!” nelle orazioni; dopo l’ascolto della Parola e l’omelia, dopo la comunione.
Tutti siamo oggi divenuto un poco trascurati e incapaci di silenzio.
Un parlare sapiente nasce dopo aver molto ascoltato nel silenzio. Il silenzio è forse la strada che apre a noi il futuro, afferma lo scrittore Massimo Camisasca in un recente libro “Dentro le cose, verso il mistero”, dove dedica un bellissimo capitolo al silenzio.
Allarghiamo gli orizzinti del silenzio, diventeremo capaci di infinito.
Silenzio nelle chiese, in quella visitata da turisti una lieve musica di buoni autori, potrà far gustare meglio anche la bellezza artistica di esse.
Aggiungiamo poi una sorta di corollario: vorremmo dire ai nostri fratelli presbiteri di non abituarsi mai a celebrare l’Eucarestia e i Sacramneti, Se celebrano ogni mattina anche per un piccolo sparuto gruppo di persone, più o meno anziane, sia per loro sempre nuova; preparino le letture, una breve omelia che faccia sussultare il cuore di gioia e di compunzione, ogni giorno; invitino i fedeli alla preghiera universale, consacrino il pane ogni giorno, diano la comunione sotto le specie del pane e del vino… E’ così che educano di fatto un gruppo per la domenica, per la festa, ogni giorno. Sarà un gruppo piccolo che aiuterà gli altri nella partecipazione e la messa di ogni mattina sarà un’ora benedetta, pensata e desiderata, attesa per tutto un altro lungo giorno e per tutta una notte.
Da “La vita in Cristo e nella Chiesa”, Ottobre 2012
Il Concilio “ha parlato di Dio”; la domenica è “inizio” della settimana
Benedetto
XVI al clero romano, “lavorare perché il vero Concilio vinca”
“Lavorare perché il vero
Concilio, con la forza dello Spirito Santo, agisca e sia rinnovata la Chiesa”.
Si è concluso con questo invito l’ultimo discorso del Papa al clero romano,
pronunciato come di consueto interamente a braccio. “Speriamo che questo Concilio
vinca”, ha auspicato il Papa, che nella parte finale del suo discorso si è
soffermato sul confronto tra quello che è stato il Concilio Vaticano II “reale”
e il “Concilio virtuale” che è stato raccontato dai media.
“Io, ritirato nella
preghiera, sarò sempre con voi, nella certezza che vince il Signore”, ha
assicurato Benedetto XVI, salutato sia al suo ingresso in Aula Paolo VI,
affiancato dal card. Vallini, sia al termine delle sue parole, da un lungo e
caloroso applauso dei presenti. Anche all'inizio del suo discorso, il Papa
aveva fatto riferimento alla sua nuova situazione di vita, dopo la sua rinuncia all'esercizio del ministero di successore di Pietro: “Anche se mi ritiro in
preghiera sono sempre vicino a tutti voi”, ha garantito ai suoi sacerdoti, “e
sono sicuro che anche voi siete vicini a me. Anche se per il mondo rimango
nascosto”.
“Il Concilio dei
padri” e il “Concilio dei media”: questi i due binari su cui il Papa si è
soffermato nell'ultima parte del suo discorso, a suggello dei ricordi personali
filtrati attraverso la filigrana dei documenti conciliari, ripercorsi nelle
loro grandi tematiche.
Il “Concilio dei
media”; ha spiegato, è “quasi un Concilio a sé”, e “il mondo ha percepito
quello dei media, e non quello dei padri”, che era “il Concilio della fede che
cerca di comprendere i segni di Dio e di rispondere alle sfide” di quel
momento, di “trovare nella Parola di Dio” i mezzi adeguati per rispondere.
Il “Concilio dei
giornalisti”, ha osservato il Papa, si svolgeva “fuori” dalla Chiesa: “Per i
media, il Concilio era una lotta politica, di potere tra i diversi poteri della
Chiesa”. Di qui la “banalizzazione dell’idea del Concilio”, per di più
“accessibile a tutti”. Tutto ciò, per il Papa, “ha creato tante calamità,
problemi, miserie. Seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata.
Il vero Concilio ha
avuto difficoltà a realizzarsi. Il Concilio virtuale è stato più forte del
Concilio reale”. “Ma la forma reale era presente, e sempre più si realizza come
vero rinnovamento della Chiesa”, ha assicurato Benedetto XVI spostando lo
sguardo all'oggi.
Spesso si è accusato
il Concilio di non aver parlato di Dio: invece, il Concilio “ha parlato di
Dio”, perché il suo “primo atto” è stato di “aprire tutto il popolo santo” alla
liturgia, attraverso la riforma liturgia, portando a compimento un processo
cominciato già da Pio XII. Il tema dell’“unica liturgia” è stato quello
affrontato per primo dal Papa, nel suo discorso di oggi al clero romano.
Il Concilio, secondo
Benedetto XVI, ha fatto “molto bene” ad affrontare per prima la questione della
riforma liturgica, perché così ha affermato “il primato di Dio, il primato
della rivelazione”. Il mistero pasquale, in questo modo, diventa il paradigma
dello stile del cristiano e del “tempo cristiano, espresso nel tempo pasquale e
domenicale, giorno della Resurrezione del Signore”.
“Peccato che oggi - la
denuncia del Papa - la domenica si sia trasformata nel fine settimana, mentre è
l’inizio della creazione e dell’incontro con Cristo Risorto”.
Le parole della liturgia: INCENSO
Bruciare l'incenso (preparato addizionando essenze alla resina) è l'offerta di un sacrificio ed equivale a un atto di
adorazione; la fragranza ne aggiunge un aspetto gioioso e gradevole. Il suo
impiego è frequente in Oriente, mentre in occidente la liturgia latina è meno
sensibile al linguaggio olfattivo (eccezione fatta per il profumo del balsamo
del crisma). Il nostro incenso non presenta questi particolari profumi.
L'uso dell'incenso in qualsiasi forma di
Messa è facoltativo: può essere utilizzato per solennizzare alcuni momenti
della celebrazione eucaristica (incensazione dell'altare, del vangelo, dei doni
e dell'assemblea, allusioni alla presenza di Cristo), nel rito delle esequie,
nell'ora delle lodi e di vespro, nell'adorazione eucaristica, nelle
processioni, per onorare un'immagine sacra o un oggetto dove si recita una
benedizione.